La sciamachia di Guia Soncini e l'inutilità del reale
Se guardi troppo la stronzata, poi sarà la stronzata a guardare dentro di te
Guia Soncini ha scritto un articolo che non serve a niente.
Ci spiega il perché con due citazioni di comici americani, Michelle Wolff e Louis CK, che dovrebbero provare (almeno nella sua interpretazione) che il fenomeno degli “uomini che uccidono le donne” è uno rispetto al quale “non si può fare niente”.
Forse sono io, ma leggendo i due spezzoni ho dedotto tutto l’opposto: mi pare evidente che i due comici stiano ironizzando sull’esistenza del patriarcato, e non tanto giustificandolo o dandolo per scontato. Ho l’impressione che, in molti suoi articoli, Soncini punti sul fatto che il suo pubblico non colga le citazioni o che, perlomeno, ne abbia una comprensione superficiale. L’altra ipotesi è che chi legge acriticamente i suoi articoli sia inserito in un più grande circlejerk, in cui tutti sospendono l’incredulità per qualche momento per indulgere in un mondo fittizio in cui loro sono, almeno per una volta, i più svegli. Non mi spiego altrimenti come ovvietà del genere non vengano sollevate più spesso. È sufficiente una lettura marginalmente più attenta per far emergere una valanga di contraddizioni ed errori nelle posizioni tenute dell’autrice.
Partiamo da queste due citazioni: Michelle Wolf, nello stesso special citato da Soncini, riconosce esplicitamente l’esistenza di un patriarcato (bianco), accusando le donne (bianche) di esser state parte attiva nella sua costruzione. In questo contesto, e conoscendo anche la carriera di Wolff e i suoi altri lavori, dal Daily Show ad oggi, è palese come il punto della citazione non sia tanto “nun ce se po fa gnente”, ma piuttosto che, nonostante gli stipendi dei due sessi siano vicini l’uno all’altro e “femminismo” sia un’ottima buzzword aziendale, ci sono comunque delle regole sociali diverse per donne e uomini. Michelle Wolff ridicolizza i femministi che vogliono “proteggere” le donne senza prima porsi la domanda: da chi? Qual è l’istituzione che ha reso così pervasiva la violenza domestica, tanto da far sì che siano i partner maschili i più probabili assassini delle donne?
Soncini ha la stessa incomprensione anche con CK: come te ne esci da Oh My God pensando che il fulcro di quell’affermazione fosse “non si può far niente per contrastare la violenza sulle donne”? Louis CK sta proprio facendo notare come le donne siano coraggiose ad esistere nel mondo nonostante l’esistenza di questa violenza endemica nel sistema (cosiddetta “rape culture”). Anche qui, il riconoscimento dell’esistenza di qualcosa viene confuso per una giustificazione.
Una volta osservate queste frasi nel loro contesto reale (PS: consiglio vivamente di vedere gli special di entrambi i comici), si presentano due possibilità: 1) Soncini non le ha capite; 2) Soncini le ha piegate in un pretzel perché si incastrassero in qualche modo con la sua visione del mondo. Per amore del dibattito, considererò la 2).
Il modus operandi tipico di Soncini è quello di crearsi un mondo immaginario, fatto di percezioni semplificate e frasette infantili che lei può prontamente demolire con chili e chili di arguzia. Anche qui, infatti, Soncini tira fuori il MeToo, dicendo che la reazione comune alle citazioni da lei appena condivise sarebbe: “come puoi citare uno che è tale e quale a chi ammazza l’ex fidanzata”. L’unico problema è che nessuno ha reagito così, proprio come nessuno pensa che una molestia sessuale sia identica ad un femminicidio. O meglio, nessuna persona reale pensa così, ma sicuramente su Twitter qualche matto lo si trova sempre. Allo stesso modo, Soncini si scaglia contro le donne “che non hanno intenzione d’affaticarsi con un lavoro vero quando possono fatturare facendo il femminismo su Instagram” secondo le quali “siamo il Paese in cui si ammazzano più donne”. Ancora, nessuno la pensa così e l’unico posto in cui si possono trovare frasi del genere sono gli articoli dell’autrice. L’acerrimo nemico di Soncini è un muro invisibile, fatto con mattoni intangibili impilati da lei durante le sue attività virtuali. Le persone e le cose di cui parla, spesso, non esistono, o sono un frutto della sua esagerazione ed iper-fissazione sul mondo dei social. Soncini, un consiglio: non dovrebbe basare la propria visione del mondo su ciò che le persone scrivono o dicono nel web, perché, come dice Chappelle “quello non è un posto reale”.
La scrittrice è vittima della stessa dissonanza cognitiva da lei criticata: ossessionata dallo scrivere ogni giorno “qualcosa che stia dentro all’onda emotiva” del momento e al contempo consapevole di non star dicendo qualcosa di sensato. Tale dissonanza porta anche a grande confusione, che si manifesta nel paragrafo successivo, in cui vengono accostate due frasi che non c’entrano nulla l’una con l’altra:
I giorni pari, che siamo una società sessista e si vede dal fatto che le femmine hanno risultati migliori dei maschi negli studi, ma poi nel mondo del lavoro fanno meno carriera; i giorni dispari, che gli uomini sono abituati a primeggiare negli studi e quindi ecco là che se ti stai per laureare prima di loro t’ammazzano.
La prima è un’osservazione fattuale, che però Soncini prende per fesseria senza disturbarsi a spiegare perché; la seconda è una congettura formulata esclusivamente dentro la sua testa, senza alcuna connessione con la realtà, utile solo come artificio retorico per sostenere la propria tesi.
Il guaio è che la verità è faticosa e complessa, e la visione del mondo adolescenziale di Soncini non apporta alcun contributo alla comprensione di questa. Quindi l’autrice spesso se la deve prendere con figure eteree, senza mai confrontarsi coi fatti. Un esempio fra tanti: Soncini vede il problema della scuola italiana nell’esser diventata troppo morbida, volta solo a coccolare gli snowflakes e chi li ha fatti, piuttosto che nella guerra totale al sistema educativo portata avanti dagli anni ’80 ad oggi per tagliarne i fondi, la trascuratezza della professione degli insegnanti, le cifre ridicole stanziate per la ricerca. No, il problema sono i voti, “l’idea pedagogica”. Se davvero Soncini crede che questo sia il problema, più che distacco dalla realtà si sta ormai orbitando attorno ad un pianeta diverso.
Questa dissociazione tocca vette ridicole quando si prende in esame l’assurda tesi centrale dell’articolo: “la sopraffazione del maschio sulla femmina è un fenomeno naturale che la società argina, che il patriarcato è quel che ci salva dal fatto che ci ammazzino, mica ciò che incoraggia il maschio ad ammazzarci”.
Ogni lettore con un minimo di onestà intellettuale riconoscerà subito la fallacia ad naturam su cui si basa questa idea: “esiste la biologia che fa gli uomini più forti delle donne, ed è nella natura degli esseri viventi che il più forte prevarichi sul più debole”. La logica dell’articolo è estremamente debole, proprio perché si assume che se una cosa avviene in natura allora è inevitabile che questa avvenga anche nelle società umane, o quantomeno ciò la renda giustificabile. Lasciamo stare che, in natura, la cooperazione sia diffusa almeno tanto quanto la competizione (se non di più). Lasciamo stare anche che la legge del più forte sia una comprovata stupidaggine, solo l’ennesimo tentativo di imporre alle persone gerarchie ingiustificate. Nel mondo immaginario di Soncini, la biologia è causa di (quasi) tutto. Si spiega così anche la sua ossessione per le cortecce prefrontali mature, che secondo lei darebbero autorità per esprimersi (ignoriamo però il fatto che Soncini sia la prova vivente di come avere un cervello anatomicamente sviluppato non garantisca maturità nei ragionamenti).
L’asserzione che il patriarcato ci salvi dall’essere ammazzati poi non viene meglio spiegata (forse Soncini pensa che il progresso avvenga solo grazie all’uomo? Oppure che il patriarcato equivalga alle invenzioni dei maschi? Boh).
Il vizio di Soncini è quello di fare della propria presunta a-politicità un piedistallo da cui proclamare “verità scomode” senza accorgersi di stare invece sempre comodamente nel centro, mantenendo l’opinione popolare ma raccontandosi di star dicendo cose sovversive, senza filtri. Per esser chiari, non credo Soncini abbia anche una sola cellula politica in corpo, ma è una persona profondamente ideologica (scrive su Linkiesta, suvvia). Questa ignavia si mostra chiaramente quando la scrittrice offre quello che secondo lei sarebbe la verità dura e pura:
“Non so cosa dire, per fortuna succede sempre meno spesso, vorremmo che non capitasse mai ma il male esiste e le tragedie accadono e pensare di eliminarle del tutto è infantile”.
Soncini, questa è una dichiarazione che nessuno fa perché chiunque ne riconosce la stupidità.
Nessuna persona reale si aspetta che le tragedie spariscano del tutto, ma si sa che c’è ancora del lavoro da fare per prevenirle, non siamo arrivati. Nessuno pensa che l’introduzione dell’educazione sessuale a scuola e la discussione di questi temi in classe farà sparire il male dal mondo, ma l’evidenza scientifica sembra indicare un beneficio netto di queste iniziative; nessuno dice che “il codice penale non serve”, ma piuttosto che il codice penale non basta, ed è inutile inasprire le pene o cambiare le norme, vanno introdotte misure per prevenire quanto più possibile che ciò accada e creare le condizioni perché le situazioni non degenerino.
Soncini se la prende anche con i simboli (ne ha per tutti, dai femminicidi a George Floyd fino a Gaza, addirittura), vera piaga di questo secolo, come se avesse scoperto ieri il concetto di interpassività. All’autrice, infatti, non resta altro che attaccare queste “stronzate simboliche”, perché altrimenti dovrebbe scontrarsi con la realtà, quella di chi si organizza politicamente per proporre soluzioni concrete, e riconoscerne l’efficacia.
Per i più sensibili e vulnerabili, come Soncini, il mantra è “soluzioni pratiche non ne abbiamo”. La scrittrice si è fissata a tal punto sulle stronzate simboliche che ormai le ha confuse per la realtà.
Questa posizione immatura dell’autrice si palesa anche nell’estensione della propria esperienza individuale a quella di tutte le donne: a chi non è capitato? Se ci ammazzano è sfiga. Secondo lei, tutte sanno di essere vive per caso, ma su questo nulla può essere fatto, è normale morire per il solo fatto di essere donna, d’altronde siamo più deboli no?
La mia impressione è che Soncini sia ben consapevole di star sproloquiando, e per questo fatica a raccapezzarsi nel suo stesso discorso: una volta si ammazzava più di adesso “perché la società procede implacabile”, ma allo stesso tempo non esistono soluzioni pratiche per ridurre la violenza; “la civiltà può far nulla per la perdita di controllo della ragione e delle pulsioni da parte d’un essere umano” ma allo stesso tempo, domando la natura, questi “raptus” si possono arginare. Soncini tiene il piede in tre scarpe e non riesce a legarsene nemmeno una.
L’unica cosa che può fare per continuare a sostenere la sua tesi auto-confutante è costruirsi un argomento fantoccio, un nemico immaginario che vuole “sradicare il male dal mondo” e raggiungere Utopia. La verità è che nessuna persona reale esige questo: le persone reali osservano le evidenze disponibili e chiedono l’implementazione di politiche che hanno un effetto comprovato sulla riduzione della violenza di genere. Oltre a riciclare frasi ad effetto da altri suoi articoli, Soncini ricicla argomentazioni alla Jordan Peterson già stantie nel 2016: dato che le aragoste si comportano in un modo, la gerarchia attuale non può che essere giustificata. La differenza è che Jordan Peterson, per quanto babbeo, provava a portare qualche straccio di prova (spuria, ovvio) a sostegno delle proprie illazioni. Soncini nemmeno quello.
L’impegno necessario per esprimere un’opinione come quella nell’articolo in questione richiede circa lo stesso sforzo di accendere la fotocamera e postare una storia su Instagram. Niente più di uno scrivere e parlare vano, una lamentela nel vuoto, i cui contenuti vogliono disperatamente osservare e analizzare la realtà senza però la preoccupazione di attenercisi. Il risultato è un insieme di frasi insostanziali, un vomito di ovvietà come tanti ce ne sono già, mai disturbato da una prova concreta. Il massimo a cui ci si spinge è un paio di frasi da due comici (perché Soncini è della scuola di Joe Rogan, e secondo loro gli unici che dicono la verità ormai sono i giullari – we live in a society) o una citazione letteraria. Ora, io Flaubert l’ho letto, ma non lo userei per trarre conclusioni su come gestire la violenza di genere, preferirei attenermi a studi fatti da persone che ne sanno più di me e seguire le prove per vedere dove portano.
Il problema dell’approccio sonciniano è proprio quello di utilizzare lo stesso metro per qualunque tema. Così ci ritroviamo delle influencer che parlano di patriarcato senza aver mai sentito nominare Silvia Federici, e una giornalista che parla di sviluppo cerebrale e femminicidi con la stessa leggerezza usata per discutere le serate di Sanremo. E non sto dicendo che su queste cose non si scherza, ma se si vuole analizzare la realtà (come Soncini ha la pretesa di fare nel suo pezzo) bisogna basarsi sull’evidenza, non sulle emozioni. E Soncini non porta uno straccio di prova a difesa della sua posizione, solo una minestra di opinioni riscaldata, senza manco un filo d’olio.
Ritorniamo quindi all’inizio. L’articolo di Soncini non serve a niente, ma per un motivo diverso da quello che pensato dall’autrice. Leggere un pezzo del genere è come farsi spiegare il mondo da una quindicenne, che per di più non ha fatto i compiti a casa; una visione del mondo immatura e altamente semplificata, in cui la biologia regna incontrastata e i problemi vengono risolti da misteriose forze del destino; in cui la “civiltà” (non meglio definita) progredisce per chissà quale ragione, ma noi non abbiamo voce in capitolo su come reagire alle tragedie.
La vita è brutta e c’è il male e la biologia e stattene buono.
Come tanti giornalisti italiani, Guia Soncini pensa che la propria anima sarà salvata dalla professione di opinioni corrette. Purtroppo, finché i nemici che si costruirà saranno caricature della realtà e le sue energie dedicate a fantocci virtuali, la sua analisi del presente rimarrà rumorosa ma sdentata, crogiolandosi nella convinzione di aver fatto centro senza accorgersi di aver puntato fino ad ora la propria freccia contro uno specchio.